Consulente del Benessere.
Consulente del benessere: definizione e competenze
A seguito dell’esclusione di Assocounseling dall’elenco delle associazioni di cui alla legge n° 4 del 2013, in quanto l’attività di counseling tradizionale (completamente differente da quella ad indirizzo psicobiologico) è stata giudicata dal Ministero dello Sviluppo economico e dal Ministero della Salute come attività sovrapponibile a quella dello psicologo, e quindi non praticabile da chi non sia psicologo abilitato, le scuole di Counseling stanno cercando di ricostruirsi una immagine che rimandi a competenze autonome, in modo da continuare a svolgere la loro attività commerciale.
Sul sito di Assocounseling è riportata la seguente definizione di Counseling:
“Il counseling professionale è un’attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione.
Il counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento.
E’ un intervento che utilizza varie metodologie mutuate da diversi orientamenti teorici. Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni. Il counseling può essere erogato in vari ambiti, quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale”.
(Definizione dell’attività di counseling approvata dall’Assemblea dei soci in data 2 aprile 2011).
Sotto il profilo della analisi logica-proposizionale, questa definizione è sostanzialmente priva di significato, nel senso che può essere applicata a qualunque contesto. Inoltre, non corrisponde al modo in cui il Counseling è concepito nel mondo e alla modalità con cui esso viene insegnato, anche in Italia, dalle scuole di Counseling.
Da ultimo, si consideri che tale definizione è emersa nel 2011, ossia circa 15 anni dopo la definizione di Counseling data dalla Scuola Superiore di Counseling ad indirizzo psicobiologico (e contenuta nel relativo Codice deontologico) alla quale essa appare ispirata in maniera imbarazzante, ma solo nella forma, perché caratteristica di questa definizione di Assocounseling è appunto la mancanza di sostanza.
Si esordisce definendo il Counseling come una “attività”. In che cosa essa consista (educazione, formazione, intervento clinico, colloquio, pratica manipolativa, consulenza, tutte attività che si rivolgono al miglioramento della qualità della vita) non è dato sapere, ma gli autori sembrano seriamente intenzionati a puntare l’accento sul suo obiettivo, il quale sarebbe il ” miglioramento della qualità della vita del cliente”. Quasi tutte le attività umane sono o vorrebbero essere rivolte al miglioramento della qualità della vita delle persone, di se stessi e del prossimo. Tra le attività professionali, non si può escludere che anche l’attività del ristoratore, dell’insegnante di ginnastica, del maestro di sci, dell’ottico, della badante o della escort, siano rivolte al miglioramento della vita dei loro clienti.
Ma il Counseling, almeno secondo Assocounseling, sostiene i punti di forza e le capacità di autodeterminazione del cliente. Si tratta dei banalissimi luoghi comuni ereditati dalle prime enunciazioni di Rogers più di settant’anni fa. Rogers, tuttavia, come i “counselor storici” cui anche Assocounseling fa riferimento, erano dei clinici che operavano in ambito clinico e Rogers stesso si occupava con orgoglio di schizofrenia, e non solo di persone “sane”.
Ma, in ogni caso, sostenere i punti di forza e la capacità di autodeterminazione delle persone è, ancora una volta, attività svolta da quasi tutte le professioni esistenti al mondo, a cominciare da quella dell’insegnamento scolastico. Il problema è come fare a sostenere i punti di forza e le capacità di autodeterminazione dell’individuo e a quale scopo. Se queste qualità sono legate alla sua fisiologia, esse richiedono una diagnosi, una valutazione e un trattamento di tipo medico. Se invece, separando mente e corpo, si ritiene che esse appartengano alla sfera psichica delle persone, esse rischiano di richiedere un intervento diagnostico e una valutazione di tipo psicologico.
Gli ideatori di questa definizione non sembrano prendere in considerazione il fatto che l’attività di miglioramento della qualità della vita attraverso il sostegno dei punti di forza e delle capacità di autodeterminazione dell’individuo è compito già precisamente e dettagliatamente illustrato nell’articolo 3 del Codice deontologico degli psicologi che recita: “Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace”. Questo obiettivo, di competenza psicologica, coincidente con quello del miglioramento della qualità della vita delle persone, si ottiene necessariamente proprio attraverso il sostegno dei punti di forza e della capacità di autodeterminazione dell’individuo, fornendo uno spazio di ascolto e di riflessione, e agendo su conoscenza e consapevolezza, a differenza di quanto può avvenire in ambito medico-psichiatrico, nel quale gli psicofarmaci possono e devono produrre effetti di miglioramento della qualità della vita della persona senza agire necessariamente sui suoi punti di forza, la sua capacità di autodeterminazione, la sua consapevolezza.
Lo “spazio di ascolto e di riflessione” offerto dal Counseling è un’attività pienamente legittima se svolta al di fuori dell’ambito professionale (peraltro prestata anche, oltre che dagli psicologi, dai sacerdoti e da molte altre categorie professionali) ma non presenta alcuna caratteristica che le permetta di differenziarsi da quello stesso spazio che viene offerto dagli psicologi. Il fatto è che “esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento”, al di là di considerazioni circa l’eleganza poetica di tali espressioni, è attività che rimanda a competenze professionali tipicamente psicologiche. È lo psicologo, notoriamente e in qualsiasi parte del mondo, che si occupa di questi aspetti della vita della persona.
Le difficoltà relative a processi evolutivi non sono nient’altro che i problemi legati allo sviluppo della persona che è oggetto di studio e di pratica professionale da parte della psicologia dello sviluppo; l’esplorazione di difficoltà relative a fasi di transizione (espressione straordinariamente generica) non può che concretizzarsi nell’analizzare il disagio psichico di chi vive processi di cambiamento che non è in grado di affrontare o, appunto, “stati di crisi”, ossia proprio quelle situazioni di cui si occupa da sempre lo psicologo. È il lavoro dello psicologo quello di aiutare le persone in tali situazioni di crisi ad affrontarle rinforzando la loro capacità di scelta e di cambiamento, capacità che può essere rinforzata solo attraverso una attività di evidente competenza psicologica che agisca sui processi psichici, emotivi, motivazionali (come uno psicologo, e non un counselor può fare).
Resta un’ultima considerazione, centrale e cruciale che smaschera questa definizione come ingenuo e patetico tentativo di camuffare la definizione di una parte dell’attività svolta dagli psicologi per presentarla come attività “autonoma”. Si consideri, infatti, che essa si qualifica come intervento (clinico, che altro?) perché è centrata non sulle qualità e risorse dell’individuo ma sulla analisi delle sue difficoltà. E’ la difficoltà del cliente al centro dell’attività del counselor, non il suo bisogno di confrontarsi con un professionista competente allo scopo di migliorare la qualità della sua vita.
Il centro di questo “intervento” restano le “difficoltà”. Si può cercare di prendere in giro se stessi e il prossimo in molti modi, ma il termine difficoltà, in questo contesto, appare semplicemente come un ingenuo escamotage linguistico per camuffare il termine “disturbo”, “trauma”, o semplicemente “disagio psichico”. Non si può, infatti, pretendere di svolgere un’attività volta al miglioramento della qualità della vita delle persone che sia differente, nella sostanza, da quella svolta dallo psicologo, se essa si configura come un intervento volto ad esplorare le difficoltà delle persone stesse. Si ricade ingenuamente, infatti, nella manifestazione di una mentalità di tipo biomedico che vede le persone come portatrici di difficoltà e non di risorse, sulle quali “intervenire”.
Questo è il punto che i personaggi in questione mostrano di non avere mai compreso, o che sono costretti a far finta di non comprendere per continuare a portare avanti una attività che ha costruito sull’equivoco e sull’illusione una falsa attività professionale. Falsa e irresponsabile, perché tende ad “autorizzare” in qualche modo persone prive di abilitazione alla pratica psicologica a svolgere un’attività che ha per oggetto il disagio psichico delle persone, camuffandolo come “attività volta al miglioramento della qualità della vita”.
È al disagio psichico, infatti, cui l’attività di Counseling tradizionale si riferisce, da sempre e anche in questa definizione, ed è al colloquio, all’ascolto e al sostegno psicologico finalizzati alla rimozione di stati di difficoltà, e non all’emersione delle risorse positive della persona, che fa riferimento dal punto di vista degli strumenti e degli scopi professionali. Ed è sempre il riferimento implicito a questo disagio psichico, per quanto camuffato ingenuamente sotto forma di “difficoltà, di fase di transizione o di stato di crisi”, che ha giustificato la sentenza del Tar del Lazio, la quale ha escuso che l’attività di counseling possa concretizzarsi in una attività autonoma e differente rispetto a quella dello psicologo, escludendo Assocounseling dall’elenco delle associazioni di cui alla legge n° 4 del 2013.
La consulenza del benessere, quindi, richiede la padronanza di conoscenze e competenze che solo le scuole certificate dall’Università popolare di scienze della salute psicologiche e sociali possono fornire. La consulenza del benessere è rivolta esclusivamente a permettere al cliente, tramite un confronto strategico condotto dal consulente, di fare chiarezza in ordine alle risorse positive che possiede e che gli possono permettere di migliorare la qualità della propria vita. Essa presuppone conoscenze e competenze che non riguardano la psicopatologia e le discipline psicologiche in senso stretto insegnate dalle scuole di Counseling, ma quella delle Scienze del benessere.
Il consulente del benessere deve saper fornire una informazione qualificata, personalizzata e fondata su evidenze scientifiche in materia di cura del corpo (conoscendo bene i limiti della propria competenza e informando circa le categorie professionali che possono occuparsi della materia in senso pratico e terapeutico) a partire dallo svolgimento di una sana e costante attività fisica per tutta la vita, di tecniche di rilassamento, di respirazione, di meditazione e tutte le modalità con cui una persona può porsi in contatto con la natura e con l’ambiente per migliorare il proprio benessere.
Il consulente del benessere deve conoscere in maniera approfondita le diverse modalità che la scienza offre per prendersi cura e mantenere allenata la mente, tramite la lettura, lo studio, la creatività e la fruizione artistica, le relazioni umane e l’impegno politico e sociale. La consulenza del benessere presuppone conoscenza e competenza ad ampio raggio anche per quanto riguarda la cura dello spirito, ossia del modo in cui ciascuno cercherà di dare un senso e un significato alla propria vita e all’esistenza nel senso più ampio del termine.
Tutto ciò, prescindendo totalmente da analisi, diagnosi, cura e prevenzione di disturbi e patologie di qualunque tipo, dal momento che la consulenza del benessere è, per definizione, una attività di informazione e di formazione al benessere, non di cura di malattia o disagio psichico.
Tutte queste conoscenze e competenze sono state elaborate, sviluppate e perfezionate nel corso di trent’anni dal comitato scientifico dell’Università popolare di scienze della salute psicologiche e sociali e riguardano materie, contenuti, metodi e scopi totalmente autonomi ed estranei a quelli delle scienze mediche e psicologiche.
Diffidiamo, quindi, le scuole di Counseling a cercare di camuffare l’attività che svolgono, ossia quella di insegnare discipline e tecniche psicologiche, tramite enunciazioni di principio prive di sostanza, ingannevoli e irrispettose nei confronti di coloro che, seriamente e professionalmente, si occupano davvero di consulenza del benessere.
Si veda, per approfondimenti: Diventare Consulente del benessere